Ottenuto l’assegno divorzile, necessario comunque prodigarsi per trovare un lavoro

Il rifiuto ingiustificato di un’offerta lavorativa adeguata comporta la revoca dell’assegno divorzile

Ottenuto l’assegno divorzile, necessario comunque prodigarsi per trovare un lavoro

Il beneficiario di assegno divorzile, in applicazione del principio di autoresponsabilità abbinato a quello della solidarietà post-coniugale, deve attivarsi per rendersi economicamente indipendente e ha l’obbligo di accettare offerte di lavoro serie e congrue, anche se inferiori all’assegno divorzile, non sussistendo, difatti, il diritto al mantenimento del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio. Perciò, il rifiuto ingiustificato di un’offerta lavorativa adeguata comporta la revoca dell’assegno divorzile, venendo meno in radice il presupposto dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’impossibilità, per ragioni oggettive, di procurarseli.
Questi i principi fissati dai giudici (ordinanza numero 25523 del 17 settembre 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura di un complesso contenzioso, hanno revocato definitivamente l’assegno divorzile riconosciuto in origine ad una donna.
Decisivo già per i giudici d’Appello il riferimento alla congruità dell’offerta di lavoro, corredata da una polizza assicurativa a fini pensionistici, respinta dalla donna.
Questa visione è condivisa anche dai magistrati di Cassazione, i quali, ribadendo che il presupposto dell’assegno divorzile è l’inadeguatezza dei mezzi e l’impossibilità di procurarseli, osserva che l’assegno di divorzio non costituisce una rendita a tempo indeterminato indifferente al sopravvenire di nuove circostanze, né autorizza il titolare dell’assegno a tenere un atteggiamento passivo confidando sulla possibilità di gravare vita natural durante sull’ex coniuge. Ciò significa che il beneficiario dell’assegno di divorzio deve comunque attivarsi per potersi rendere economicamente indipendente.
Applicando tale prospettiva alla vicenda in esame, quindi, la donna avrebbe dovuto accettare una proposta di lavoro seria, con uno stipendio adeguato, anche se inferiore all’assegno divorzile, o inferiore al contributo che le attuali condizioni dell’ex coniuge avrebbero potuto garantirle, dal momento che non vi è diritto al mantenimento del tenore di vita avuto in costanza matrimoniale.
Per fare chiarezza, poi, i giudici osservano che l’offerta di lavoro ‘incriminata’, intervenuta quando già la donna aveva per diverso tempo percepito un congruo assegno divorzile – per una cifra pari a 48mila euro annui –, era sufficiente a far venire meno in radice la debenza dell’assegno.
Peraltro, come appurato in Appello, si trattava di un’offerta di lavoro rara e cioè di un’offerta di lavoro particolarmente benevola e ciò si spiega facilmente ove si consideri che l’offerta proviene da una società riconducibile all’ex marito (o meglio collegata con una società a lui riconducibile). Inoltre, la donna sarebbe stata inquadrata quale impiegata di concetto di quinto livello, con mansioni amministrativo-commerciali, e con una polizza assicurativa integrativa del trattamento pensionistico, il che, come lei stessa riconosce, è più di quanto la sua formazione professionale le consentisse di aspirare. In sostanza, si presuppone che l’ex marito abbia usato la sua influenza per garantire alla ex moglie condizioni di lavoro che presumibilmente non avrebbe trovato sul mercato libero, e la ragione di ciò è facilmente intuibile, posto che per l’ex coniuge era comunque più vantaggioso spendere la sua influenza per fare accettare alla società collegata le difficoltà connesse all’inserimento nell’azienda di una persona da addestrare e già in età avanzata, piuttosto che continuare a corrispondere un assegno divorzile all’ex moglie.
E, aggiungono i giudici, tale valutazione sarebbe stata destinata a comportare vantaggi anche per la donna, perché ove, alla prova dei fatti, l’offerta si fosse rivelata fittizia o poco seria, ella avrebbe potuto nuovamente reclamare l’assegno divorzile.

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