Mantenimento del figlio maggiorenne portatore di handicap: valutare l’incidenza della disabilità sulla sua autonomia

Necessario accertare se il figlio che richieda la contribuzione sia portatore di un handicap grave, ovvero se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale

Mantenimento del figlio maggiorenne portatore di handicap: valutare l’incidenza della disabilità sulla sua autonomia

A fronte di una richiesta di mantenimento da parte di un figlio maggiorenne portatore di handicap grave, non ci si può limitare a valutare elementi esteriori di apparente autonomia economica, ma bisogna svolgere un accertamento concreto dell’incidenza della disabilità sull’autonomia personale del soggetto, verificando se la gravità dell’handicap determini effettivamente la necessità di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o relazionale.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 21174 del 24 luglio 2025 della Cassazione), i quali hanno riconosciuto legittimità, almeno sulla carta, alla pretesa avanzata da una ragazza maggiorenne, affetta da handicap grave e riconosciuta dall’INPS invalida all’80 per cento (con diritto alla corresponsione di un assegno di invalidità in misura pari quasi 300 euro al mese), nei confronti dei genitori.
Nello specifico, la giovane ha spiegato di non avere la possibilità di svolgere, a causa della propria disabilità, un’attività lavorativa idonea a garantirle l’autosufficienza economica e di essersi allontanata dalla casa dei propri genitori in conseguenza del clima conflittuale esistente ormai da qualche anno, e ha perciò adito il Tribunale al fine di ottenere l’accertamento del suo diritto di ricevere dai propri genitori il pagamento di una somma a titolo di contributo al mantenimento, prevista dal Codice Civile in favore dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, quantificandola nella misura mensile di 1.000 euro.
Per i giudici di merito non ci sono dubbi: la pretesa della ragazza non ha fondamento. Anche perché, come appurato, lei si è dapprima allontanata dalla casa familiare, intraprendendo una convivenza con il proprio partner e, in seguito, ha addirittura acquistato un immobile – senza neppure contrarre un mutuo – in cui attualmente risiede da sola.
Tali elementi costituiscono, secondo i giudici d’Appello, indici indiscutibili indici di un elevato livello di autonomia personale, oltre che patrimoniale.
Di conseguenza, valutata in concreto l’incidenza della situazione di handicap grave sulle condizioni di autonomia, personale e patrimoniale, della giovane, quest’ultima deve essere considerata semplicemente come una figlia maggiorenne, pienamente in grado di provvedere a sé stessa, in quanto economicamente indipendente dai genitori, chiosano i giudici d’Appello.
Visione opposta, invece, quella dei magistrati di Cassazione, i quali ricordano, in premessa, che è possibile disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico e che ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Portatore di handicap, va precisato, è colui che presenta una minorazione fisica, psichica, sensoriale, stabilizzata e progressiva che è causa di difficoltà di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e di emarginazione. Ancora, qualora la minorazione (singola o plurima) abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.
Ciò detto, l’intento del legislatore, Codice Civile alla mano, è quello di creare una vera e propria figura protettiva dei figli maggiorenni portatori di handicap, ulteriore rispetto a quelle previste dalla legge, con la volontà di protrarre, anche dopo il compimento della maggiore età e per un tempo indeterminato, il dovere genitoriale di cura e di accudimento del figlio la cui condizione fisica o psichica richieda un impegno in tal senso equiparabile a quello del genitore del figlio minore.
In questa ottica, quindi, è necessario accertare se il figlio che richieda la contribuzione sia portatore di un handicap grave, ovvero se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, essendo, in caso contrario, la condizione giuridica del figlio assimilabile non a quella dei minori bensì allo status giuridico dei figli maggiorenni.
Per i figli portatori di handicap grave non trovano applicazione in via automatica le norme relative al mantenimento dei minori. Perciò, è necessario verificare l’incidenza della disabilità, della quale il soggetto sia portatore, sulla autonomia personale in correlazione all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale.
Tale controllo è fondamentale e dovrà essere effettuato, sanciscono i giudici di Cassazione, ritornando alla vicenda in esame, per verificare se il grave handicap diagnosticato alla ragazza dalla ‘Commissione medica’ dell’INPS le impedisca o meno il reperimento di una attività lavorativa almeno parzialmente produttiva di reddito.

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